24 ottobre 2005

Un uomo che ha vissuto


Signori,

ora sapete chi sono: un ribelle che vive del frutto dei suoi furti. Inoltre, ho incendiato diversi palazzi e ho difeso la mia libertà contro l'aggressione di agenti del potere. Ho messo a nudo tutta la mia esistenza di lotta; la sottopongo alla vostra intelligenza come un problema. Non riconosco a nessuno il diritto di giudicarmi, non imploro né perdono né indulgenza. Non prego quelli che odio e che disprezzo. Voi siete i più forti; disponete di me come volete. Mandatemi al bagno penale o al patibolo, poco importa. Ma prima di separarci, lasciate che vi dica un'ultima parola (...)
Voi chiamate un uomo ladro e bandito, applicate contro di lui i rigori della legge senza chiedervi se egli poteva essere altro. S'è mai veduto un possidente farsi svaligiatore? Confesso di non conoscerne. Ma io, che non sono possidente né benestante, che non sono altro che un uomo che possiede le sue braccia e il suo cervello per assicurarsi di che vivere, io ho dovuto tenere un 'altra condotta. La società non mi accordava che tre vie di esistenza: il lavoro, la mendicità il furto. Il lavoro, ben lungi dal ripugnarmi, mi piaceva. L'uomo non può nemmeno fare a meno di lavorare; i suoi muscoli, il suo cervello, hanno una somma di energie da dispensare. Quel che mi ha fatto ripugnare è sudare sangue, e linfa per l'elemosina d'un salario, è creare delle ricchezze di cui sarei stato depredato. Insomma, m'ha fatto ripugnanza darmi alla prostituzione del lavoro. La mendicità è l'avvilimento, la negazione di ogni dignità. Ogni uomo ha diritto al banchetto della vita.
Il diritto di vivere non si mendica, lo si prende.
II furto è la restituzione, la ripresa di possesso. Piuttosto che esser rinchiuso in un'officina come in un penitenziario, piuttosto che mendicare ciò cui avevo diritto, ho preferito rivoltarmi e combattere palmo a palmo i miei nemici facendo la guerra ai ricchi, attaccando i loro beni. Certo, capisco che avreste preferito soggiacessi alle vostre leggi, che come operaio docile e infrollito creassi ricchezza in cambio d'un salario irrisorio e che, col corpo consumato e il cervello inebetito, me ne andassi a crepare all'angolo d'una strada. In quel caso non mi chiamereste "bandito cinico", ma "onesto operaio". Con blandizie mi avreste perfino premiato con la medaglia del lavoro. I preti promettono un paradiso a quelli che riescono ad abbindolare; voi siete meno astratti, voi promettete loro della carta straccia.
Vi ringrazio molto per tanta bontà, per tanta gratitudine, Signori! Preferisco essere un cinico cosciente dei suoi diritti che un automa, una cariatide!
Da quando sono entrato in possesso della mia coscienza, mi sono dedicato al furto senza alcuno scrupolo. Non ho niente a che fare colla vostra pseudo-morale che esalta il rispetto della proprietà come una virtù, mentre non esistono ladri peggiori dei proprietari.
Ritenetevi fortunati, Signori, che questo pregiudizio abbia messo radici nel popolo, perché è lui il vostro gendarme migliore. Conoscendo l'impotenza della legge o, per meglio dire, della forza, ne avete fatto il più sicuro dei vostri protettori. Ma state attenti, tutto finisce. Tutto ciò che è costruito, edificato colla forza e l'astuzia, forza e astuzia possono demolire.
Il popolo progredisce ogni giorno. Non vedete che, consci di queste verità, consapevoli dei loro diritti, tutti i morti di fame, tutti i pezzenti, insomma tutte le vostre vittime, s'armano di grimaldello, vibrano l'assalto alle vostre case per riprendere le ricchezze che essi han creato e che voi avete loro rubato? Credete che sarebbero più infelici? Io son convinto del contrario. Se ci riflettessero meglio, preferirebbero correre qualunque rischio piuttosto che ingrassarvi gemendo nella miseria. La prigione... Il penitenziario... Il patibolo, si dirà! Ma cosa sono tali prospettive in confronto a una vita bestiale, fatta di ogni sofferenza? Il minatore che strappa il suo pane alle viscere della terra, senza mai vedere la luce del sole, può morire da un momento all'altro, vittima d'una esplosione di grisù: il conciatetti che vaga per i tetti può cadere e ridursi in briciole; il marinaio conosce il giorno in cui parte, ma ignora se ritornerà in porto. Un gran numero di altri lavoratori contrae malattie fatali nell'esercizio del proprio mestiere, si sfinisce, s'avvelena, si uccide per creare per voi; perfino i gendarmi, i poliziotti vostri servi che, per un asso da rosicchiare che tirate loro, trovano a volte la morte nella lotta che intraprendono contro i vostri nemici.

Cocciuti nel vostro egoismo meschino, rimanete scettici nei confronti di questa prospettiva, vero? Il popolo ha paura, sembrate dire. Noi lo governiamo col terrore della repressione; se grida, lo getteremo in prigione; se brontola, lo deporteremo al bagno penale; se passa all'azione, lo ghigliottineremo! Calcolo errato, Signori, credetemi. Le pene che infliggete non sono un rimedio contro i gesti di rivolta. La repressione, anziché un rimedio o un palliativo, non è che un aggravamento del male.
Le misure coercitive non possono che seminare odio e vendetta. È un ciclo fatale. Del resto, da quando tagliate le teste, da quando gremite le prigioni e i bagni penali, avete forse impedito all'odio di manifestarsi? Parlate. Rispondete! I fatti dimostrano la vostra impotenza. Da parte mia, sapevo per certo che il mio comportamento non poteva aver altro sbocco che il bagno penale o il patibolo. Vedete bene che non è stato questo a impedirmi di agire. Se mi sono dedicato al furto, non è una questione di guadagno, di lucro, ma una questione di principio, di diritto. Ho preferito conservare la mia libertà, la mia indipendenza, la mia dignità di uomo piuttosto che essere creatore della fortuna d'un padrone. In termini più banali, senza eufemismi, ho preferito essere ladro che derubato.
Certo, anch'io disapprovo che un uomo s'appropri colla forza o coll'astuzia del frutto della fatica altrui. Ma è proprio per questo che ho fatto la guerra ai ricchi, ladri dei beni dei poveri. Anch'io vorrei vivere in una società da cui il furto fosse bandito. Io non approvo il furto e non l'ho utilizzato che come mezzo di rivolta in grado di combattere il più iniquo di tutti i furti: la proprietà privata.
Per distruggere una conseguenza, bisogna prima distruggere la causa. Se esiste il furto, è solo perché c'è abbondanza da una parte e penuria dall'altra, perché tutto appartiene solo ad alcuni. La lotta scomparirà solo quando gli uomini metteranno in comune le loro gioie e le loro pene, il loro lavoro e la loro ricchezza, solo quando tutto apparterrà a tutti.
Anarchico rivoluzionario, io ho fatto la mia rivoluzione, l'Anarchia verrà!<>

Marius Jacob

Questo uomo MARIUS JACOB è stato un ladro anarchico dalla vita incredibile e anche lo stesso uomo che ha ispirato Maurice Leblanc il creatore di lupin.

Non ci sono parole per descrivere cosa ha passato questo uomo nella sua vita.
Vi consiglio questo libro

Bernard Thomas Jacob Alexandre Marius, detto Escande, detto Attila, detto Georges, detto Bonnet, detto Féran, detto Duro a morire, detto Il ladro, ed.
Anarchismo, 1989 (trad. di Melina Di Marca)

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

zecca

11:21 PM  

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